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Lug 2017Come abbiamo già visto, sono ormai sempre più numerose le sentenze che hanno per protagonista “Facebook”, il social network più popolare che viene usato per condividere ma anche per insultare, diffondere notizie false o suggestive, ecc…
La Suprema Corte ha più volte richiamato l’attenzione degli utenti sul fatto che i social network rappresentano delle grandi piazze virtuali e i comportamenti virtuali possono diventare sotto vari profili rilevanti.
“Singolare” (come sottolineano gli stesso giudici sardi) è il caso su cui si è pronunciato il TAR di Cagliari con sentenza n. 281 del 3 maggio 2017, che analizza l’amicizia sul social network di candidati e commissari di un concorso.
Secondo alcuni partecipanti ad un concorso scolastico, le operazioni della Commissione erano viziate –tra le altre cose- per la presenza di cause di incompatibilità e/o inopportunità dovute ai rapporti di conoscenza e di amicizia esistenti tra i commissari e singoli concorrenti.
A dimostrazione che si trattava non di semplice conoscenza ma di “amicizia, frequentazione e confidanza”, i ricorrenti depositavano anche alcune foto scaricate appunto da Facebook.
L’art. 51 c.p.c., richiamato dai ricorrenti, prevede che un’incompatibilità assoluta e un conseguente obbligo di astensione, pena l’illegittimità di tutte le operazioni compiute, per colui (o la cui moglie) è “parente fino al quarto grado, o legato da vincoli di affiliazione o convivente o commensale abituale” di un candidato.
Secondo il TAR, “le cosiddette “amicizie” su Facebook sono del tutto irrilevanti perché lo stesso funzionamento del social network consente di entrare in contatto con persone che nella vita quotidiana sono del tutto sconosciute”.
Il riferimento normativo alla “abitualità” della commensalità, infatti, esclude l’occasionalità della stessa e della abitualità occorre dare prova: tale prova –secondo i giudici- non può essere fornita mediante Facebook in quanto “non è chi non veda che nell’odierno modo di comunicare, qualunque occasione conviviale anche del tutto episodica, può essere “catturata” con il telefono cellulare e repentinamente pubblicata sul social network. Non può, questo, essere considerato indice di una commensalità abituale.”.
In termini analoghi si è pronunciata con la sentenza n. 1 del 2017 la Corte di Cassazione francese, evidenziando che per ora si deve escludere che l’amicizia su Facebook equivalga tout court ad un’amicizia in senso tradizionale e che possa perciò pregiudicare automaticamente l’imparzialità di giudizio.
Alcuni anni prima, invece, sempre dei giudici francesi avevano escluso l’imparzialità di un arbitro, ritenendo rilevante la sua amicizia su Facebook con l’avvocato parte di un procedimento, anche in considerazione del fatto che l’arbitro era stato collega di studio del legale (Corte d’appello di Parigi 11.03.2011).
Nel caso esaminato dai giudici sardi, in effetti, non risulta chiaro se il TAR abbia correttamente valorizzato tutte le circostanze dedotte (se provate) dai ricorrenti: oltre alle foto scaricate da Facebook, infatti, nel ricorso si deduceva che commissari e concorrenti insegnavano nello stesso istituto ed erano stati ritratti anche in situazioni di convivialità.
In conclusione, le foto su Facebook certo non possono bastare forse per dimostrare un fatto ma possono certo concorrere con altri elementi di prova: abbiamo già parlato, del resto, dell’utilizzo che si può fare di quelle foto in un giudizio di separazione/divorzio (https://www.lexit.it/falso-mito-dellirresponsabilita-quanto-si-scrive-sul-web/).