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Nov 2017

Un recente decreto del Tribunale di Mantova (decreto 19.9.2017 Trib.Mantova) ha riaperto il dibattito circa la possibilità di postare le foto dei propri figli sui social network.

Diciamo, innanzitutto, che l’immagine della persona, in generale e non solo minore, è tutelata da diverse norme del nostro ordinamento.

L’art. 10 del codice civile [1] prevede che l’interessato possa chiedere la rimozione di un’immagine che leda la propria dignità nonché un risarcimento danni.

Anche l’art 96 della c.d. legge sul diritto d’autore (L. 633/1941) prevede che il ritratto di una persona non può essere esposto senza il consenso di quest’ultima [2].

È importante, inoltre, ricordare che l’immagine fotografica rappresenta un dato personale, come tale tutelato dalla normativa privacy anche con sanzioni penali (art 167 D.Lgs. 196/2003).

Ciò significa che, quando le foto pubblicate sui social network foto ritraggono anche altre persone, il consenso degli interessati è sempre necessario, non solo se si tratta di  minori.

L’art. 8 del G.D.P.R. (il nuovo Regolamento Europeo che entrerà in vigore nel maggio 2018) contiene una specifica previsione per la tutela dei minori in relazione ai servizi della società dell’informazione, prevedendo che essi possano prestare il consenso al trattamento dei propri dati personali a sedici anni [3].

La Convenzione internazionale di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 20.11.1989 (ratificata in Italia con L. 176/1991) pone in primo piano gli interessi e la dignità del minore, vietando in modo netto ogni interferenza arbitraria nella loro vita privata (l’art. 1 della Convenzione ne prevede l’applicazione ai minori di anni diciotto) [4].

Come si vede, buona parte delle norme che proteggono l’immagine parlano di “consenso dell’interessato”, consenso che –nel caso di un minore- dev’essere dato dal suo rappresentante legale.

Ai sensi dell’articolo 316 del codice civile, la responsabilità genitoriale (una volta chiamata “potestà genitoriale”) spetta ad entrambi i genitori, che la devono esercitare di comune accordo: in caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascun genitore può ricorrere al giudice.

Proprio per questo, la pubblicazione di foto dei figli sui social network è sempre più spesso utilizzata nelle cause di separazione o divorzio come “arma” per dimostrare l’inaffidabilità di un genitore e per chiedere l’affidamento esclusivo del minore.

Il recente decreto del Tribunale di Mantova, infatti, è stato pronunciato proprio nell’ambito di una causa promossa da un genitore nei confronti dell’ex compagna, accusata di aver postato le foto dei figli sui social network, violando gli accordi in precedenza intervenuti tra i due genitori e che prevedevano proprio l’impegno della signora a non pubblicare le foto sui social network e a rimuovere quelle postate.

Di qui la richiesta del padre, che accusava la madre di gravi comportamenti diseducativi.

La pronuncia del tribunale mantovano non è la prima in materia.

Soltanto alcuni mesi fa, anche il Tribunale di Foggia si era pronunciato in un’analoga vicenda: un padre separato si era opposto alla pubblicazione delle foto della figlia sui social da parte della moglie e aveva chiesto l’affido esclusivo della bambina perché riteneva la madre inadeguata al ruolo genitoriale proprio per una eccessiva dipendenza dai social network.
Il Tribunale di Foggia ha accolto la richiesta di rimozione delle foto della figlia minorenne osservando che “il genitore che unilateralmente decide di pubblicare le foto del figlio (o della figlia) online, senza preventivamente acquisire il consenso dell’altro genitore viola le norme sull’esercizio della responsabilità genitoriale. La pubblicazione di foto di figli minori, sebbene in sé lecita, potrebbe per le modalità e l’intensità con cui viene praticata, essere considerata pregiudizievole per il minore ed in quanto tale avere rilevanza giuridica sia al fine di una eventuale decisione di rimozione, sia in termini di corretto esercizio della capacità genitoriale.”

Nel 2014, il Tribunale di Varese aveva ordinato ad un padre la cancellazione di alcune immagini del figlio di quattro anni in barca, pubblicate senza l’autorizzazione dell’ex moglie, autorizzazione necessaria per il combinato degli articoli 10 e 316 del codice civile: secondo il giudice, la pubblicazione dimostrava “l’immaturità di fondo” del padre.

La pubblicazione di foto sui social espone il minore anche a dei gravi rischi: come sottolineato dal Tribunale di Mantova, “l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che “taggano” le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia”.

Il dato, in effetti, è davvero inquietante: oltre la metà delle foto contenute nei siti pedopornografici provengono dalle foto condivise candidamente su Facebook.

La polizia postale è più volte intervenuta per mettere in guardia i genitori italiani.

Ciò è accaduto anche nel 2016, quando si era diffusa una sorta di catena di Sant’Antonio virale, in cui ogni mamma pubblicava tre foto del proprio figlio e lanciava la sfida alle altre mamme, affinché facessero lo stesso con le immagini dei loro figli.

Un’iniziativa all’apparenza innocente (denominata “mamme orgogliose”) ma che si è rivelata un grave pericolo per i bambini postati.

La polizia postale ha invitato quelle madri a non divulgare le foto online dei loro figli sia per ragioni di privacy ma anche per rispettare il diritto di quei minori di scegliere, quando saranno maggiorenni, quale parte della propria vita privata condividere.

Un genitore, in effetti, dovrebbe chiedersi cosa penseranno i suoi figli, una volta diventati adulti, del fatto che mamma e papà abbiano reso pubblico l’album della loro infanzia: un’immagine che oggi ci sembra divertente, in futuro, potrebbe essere diventare motivo di imbarazzo o addirittura gravemente lesiva della dignità del minore ormai diventato adulto.

C’è chi parla, a questo proposito, di una “baby web reputation”.

L’anno scorso, una diciottenne della Carinzia (Austria) ha fatto causa ai propri genitori perché avevano pubblicato, senza il suo consenso, oltre cinquecento foto della figlia, immagini legate anche alla sua infanzia.

Anche la legislazione francese sulla privacy è molto severa sul punto, facendo esplicito riferimento ad un “obbligo di responsabilità di ciascun genitore nei confronti dell’immagine dei figli”: in Francia, chi pubblica immagini di bambini, figli compresi, senza il consenso dell’interessato rischia fino a un anno di reclusione o 45mila euro di multa. Ciò significa che il minore, le cui foto vengano pubblicate senza il suo consenso, una volta diventato maggiorenne, potrebbe fare causa ai propri genitori per il pregiudizio subito dalle foto pubblicate senza il suo consenso e far irrogare a mamma e papà le sanzioni sopraindicate.

In conclusione, sarebbe comunque preferibile che le foto dei minori rimanessero negli album di famiglia, per evitare che un gioco ingenuo si trasformi in un incubo e magari, in un prossimo futuro, in una causa di famiglia.

 

[1] Art. 10 c.c. – Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni.

[2] art. 96 L. 633/1941 –  Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente.

[3] Art. 8 Regolamento UE n. 679/2016 – “[…] per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. […]”.

[4] Art. 16. – 1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione.

Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti.