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Dic 2018

La disciplina sul trattamento dei dati personali è un boccone indigesto per qualunque realtà economica, se non altro per i costi -diretti ed indiretti- che inevitabilmente genera.

Di difficile comprensione è l’impostazione generale del sistema, che si scontra con prassi ed assetti organizzativi consolidati poco sensibili al tema.

Come si può far capire che è cambiato il paradigma di base, che la tutela del dato personale è assurta a diritto assoluto e che come tale va considerata?

Se è vero che un’immagine vale più di mille parole, forse basta sostituire alla visione del pezzo di carta o del file che riporta dei dati personali l’immagine di una o più banconote da cento euro.

Il cliente o il paziente o l’utente, conferendomi i suoi dati, mi consegna una pacchetto di banconote da cento euro: cento euro sono per il nome e cognome, altri cento euro per i suoi recapiti (anche telefonici ed e-mail), duecento euro sono per i suoi dati lavorativi (ruolo e retribuzione), cinquecento euro per i suoi dati sanitari.

Lasceremmo questo pacchetto di banconote incustodito sul bancone della reception, mentre scendiamo al bar a prendere il caffè? Sicuramente ci doteremmo di una cassetta di sicurezza dove custodire i valori in nostra assenza, regolamentando chi vi può accedere e con quali modalità (privacy by design e by default).

Quando le usassimo per fare delle spese per conto del cliente, le spenderemmo a prescindere dall’oggetto e dal prezzo dell’acquisto? Verosimilmente ci preoccuperemmo dell’utilità e del prezzo dei servizi che compriamo, anche pensando alla relativa rendicontazione (principio della pertinenza e della minimizzazione).

In fin dei conti, basta spostarsi dall’ambito giuridico a quello economico per rendersi conto che l’equiparazione tra dati e banconote l’ha già fatta da molto tempo, ed in termini reali, chi sui dati personali ha costruito la propria fortuna, social networks in testa.

E proprio start-up della new economy stanno tentando di creare modelli di business che consentano anche ai privati di guadagnare dallo sfruttamento dei propri dati personali: da CoverUS,  che remunera la cessione di dati sanitari con sconti sulle prestazioni mediche, alle numerose applicazioni che organizzano i dati personali in modo che la loro eventuale cessione a terzi avvenga in maniera consapevole e selettiva, e quindi anche a titolo oneroso.

Ciò può funzionare solo se l’ordinamento giuridico riconosce e tutela come diritti assoluti i dati personali.

Gli strenui oppositori della tutela di impronta europea (GDPR) sostengono che l’assenza di disciplina ha consentito la nascita dei big della new economy, con le conseguenti positive ricadute in termini di indotto e occupazione.

L’argomento, in realtà, è più suggestivo che fondato.

Infatti:

1. molti di questi big macinano utili enormi perché sono di fatto esentati dal pagamento di imposte, con evidenti ricadute negative per i paesi dei loro clienti, che vedono rientrare solo in minima parte le cifre enormi sborsate dai loro cittadini;

2. questi colossali utili finiscono nelle mani di pochissimi soggetti, che arrivano ad avere disponibilità finanziarie maggiori di alcuni stati;

3. la combinazione dei due elementi succitati sta creando monopoli che spazzano la concorrenza senza tanti complimenti.

Siamo solo all’inizio dell’ennesima rivoluzione e molti ne stanno prendendo coscienza: se The Economist ha detto che la risorsa mondiale più preziosa non è più il petrolio ma sono i dati, un perché ci sarà.