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Set 2017

Il diritto e il processo hanno visto crescere la loro complessità a scapito della coerenza sistematica e della prevedibilità delle decisioni.

Si è innescato un circolo vizioso: le leggi sono scritte male, per ignoranza del legislatore o per i compromessi della politica; gli operatori del diritto sono spesso scadenti, per impreparazione o eccessivo carico di lavoro; le decisioni sono scarsamente eseguibili, perchè intrinsecamente mal fatte o perchè arrivano quando i buoi sono scappati da talmente tanto tempo che non se ne sente nemmeno più la puzza.

Questo genera un mood ribassista: qualcuno -anche autorevole- dice che scrivere bene le leggi non serve a niente, tanto i magistrati le applicano come vogliono; chi opera sul campo replica che la pessima qualità delle leggi legittima un ampio ventaglio di interpretazioni; gli operatori economici chiedono almeno che le decisioni tengano conto delle esigenze dell’economia, in particolare nei periodi di crisi; chi decide replica che non è suo compito fare politica economica a colpi di sentenze, e così via.

Si sono perduti, in particolar modo nell’ambito civile, i fondamentali del ragionamento logico-razionale: ad un certo punto, la strada della scienza e la strada del diritto si sono separate. La scienza è rimasta giocoforza legata al rigore razionale; il diritto -credendo di poter assurgere ad arte- ha finito per diventare gioco d’azzardo.

Oggi la fame di competenze tecnico-informatiche sta facendo riscoprire, anche attraverso la diffusione dell’insegnamento del coding, l’abc della logica: il giurista deve (tornare a) rendersi conto che -analogamente a quanto avviene nella costruzione di un software- ogni problema complesso (la fattispecie concreta) può essere gestito scomponendolo nelle sue unità elementari (gli elementi della fattispecie) che interagendo secondo determinate regole (le norme) danno necessariamente determinati risultati (il precetto concreto o, in caso di contenzioso, la sentenza).

Così come la codificazione fu un epocale salto logico ed organizzativo del sistema, oggi potrebbe esserlo la produzione delle norme giuridiche anche in forma di algoritmi, con una sorta di doppia lingua ufficiale, quella comune e quella informatica. Ciò avrebbe un duplice vantaggio: costringerebbe a legiferare con maggior rigore e consentirebbe di avere a disposizione il materiale di base per una futura fruizione automatizzata dei contenuti, per esempio quale supporto all’attività consulenziale o decisionale.

Come il figliol prodigo, è tempo che il diritto torni a casa, abbandonando le velleità che lo hanno fuorviato: il pensiero giuridico, soprattutto in fase di creazione delle norme, deve avvicinarsi quanto più possibile al pensiero computazionale, che altro non è che logica sistematica. E allora si potrà uccidere il vitello grasso.