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Ago 2017

Un giudice può decidere sulla base di prove che ha acquisito autonomamente attraverso delle ricerche su Internet?

La questione è stata analizzata dalla Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza 02.02.2017 n. 4951: nel caso in esame, l’imputata lamentava il fatto che il Giudice di primo grado -effettuando una navigazione su Internet in camera di consiglio e qualificando come “fatto notorio” le informazioni così acquisite sul web – avrebbe svolto un’attività inquisitoria illegittima, al di fuori del contraddittorio tra le parti.

Occorre premettere che il nostro processo civile è retto dal c.d. principio dispositivo, in base al quale il giudice può decidere solo sulla base delle prove e delle allegazioni fornite dalle parti (“iudex iuxta alligata et probata iudicare debet“); anche nel processo penale (dove vale il c.d. principio accusatorio) sono solo le parti ad introdurre nel processo i fatti e le relative prove e il giudice non può andare oltre le prove presentate nel corso del processo.

A tale regola, tuttavia, fa eccezione il c.d. “fatto notorio”, vale a dire quelle nozioni di comune esperienza acquisite alla conoscenza della collettività con un grado di certezza tale da apparire indubitabili e incontestabili (ai sensi dell’art. 115 c.p.c., il giudice può “senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”).

Le informazioni acquisite sul web possono ricondursi alla nozione di “fatto notorio”?

Il concetto di “fatto notorio”, proprio per la sua portata derogatoria al principio dispositivo, è sempre stato inteso in modo rigoroso e stretto dalla giurisprudenza: non costituiscono fatti notori gli elementi valutativi che implichino cognizioni particolari o che richiedano preventivi accertamenti particolari (per esempio la stima del valore di mercato di un immobile);  restano estranee al concetto di fatto notorio anche le nozioni oggetto della scienza privata del giudice, in quanto le particolari conoscenze del giudice (anche quando gli derivano dalla pregressa trattazione di controversie similari) non hanno quel carattere “universale” che contraddistingue la categoria del “notorio”.

Secondo la Suprema Corte, nemmeno le informazioni tratte dal web rappresentano fatti notori: “la circostanza che attraverso il ricorso ai moderni strumenti informatici un’informazione sia agevolmente accessibile ad una vasta platea di soggetti non rende di per sé “notoria” l’informazione”; nel caso in esame, il fatto stesso che fossero state comunque necessarie delle ricerche su Internet per acquisire le informazioni contestate “rende ispo facto evidente che non si trattava certo di un fatto notorio”.

Risulta pacifico, inoltre, che le informazioni raccolte dal Giudice in camera di consiglio erano state acquisite al di fuori del contraddittorio delle parti e, dunque, illegittimamente.

Appare in tal senso interessante anche un’ordinanza del Tribunale di Mantova del 16.05.2006 che dichiara la parziale nullità di una consulenza tecnica in quanto il CTU aveva irritualmente acquisito e utilizzato una serie di informazioni tratte dai siti web (l’utilizzo da parte del consulente d’ufficio di documentazione non ritualmente introdotta nel processo determina la nullità della relazione): osserva il Tribunale che “le notizie acquisite attraverso internet non possono definirsi nozioni di comune esperienza, a mente dell’art. 115 ult.co. c.p.c., dovendo la norma essere intesa in senso rigoroso, comportando la stessa in una deroga al principio dispositivo, per cui “notorio” deve intendersi solo il fatto che una persona di media   cultura conosce in un dato tempo e in un dato luogo, mentre le informazioni pervenute da Internet quand’anche di facile diffusione ed accesso per la generalità dei cittadini non costituiscono dati incontestabili nelle conoscenze della collettività”.

Se Internet non può essere utilizzato da un giudice per supplire autonomamente alle carenze probatorie delle parti, ciò non significa che il web non possa costituire un’utile fonte di prove.

Con sentenza n. 9732/2015, per esempio, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il ricorso ad Internet come fonte di indizi utili ad avvalorare un accertamento induttivo (l’amministrazione finanziaria aveva ricostruito i maggiori redditi di una società immobiliare basandosi -tra l’altro- anche sull’alto numero di inserzioni promozionali pubblicate su Internet dalla società per gli immobili da vendere); abbiamo già visto, inoltre, che anche i social network possono rappresentare delle preziose fonti di notizie e informazioni utilizzabili processualmente: è sufficiente che siano le parti ad allegare tempestivamente e ritualmente nel giudizio le informazioni reperite sul web.