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Mar 2018

In un mondo sempre connesso, dove la continua circolazione di informazioni tramite gli strumenti tecnologici ci consente di essere sempre aggiornati, c’è chi comincia a rivendicare anche il diritto alla disconnessione per migliorare la qualità del nostro tempo.

Se ne discute, per esempio, nel mondo del lavoro, dove si avverte la necessità di trovare un punto di equilibrio tra il tempo da dedicare all’attività lavorativa e il tempo da dedicare alla propria vita privata.

Il diritto alla disconnessione è stato codificato in Francia grazie alla Loi Travail del 2016 che, modificando il Codice del lavoro francese, ha previsto che la contrattazione annuale (letteralmente “la négociation annuelle”) sulla qualità della vita lavorativa debba riguardare anche le modalità di esercizio da parte del dipendente del proprio diritto alla disconnessione nonché la messa a disposizione di dispositivi che regolano l’utilizzo degli strumenti informatici, al fine di assicurare il rispetto dei tempi di riposo, del periodo di ferie e della vita personale e familiare.

La norma, entrata in vigore il primo gennaio 2017, si applica soltanto alle aziende con almeno 50 dipendenti; si tratta comunque di una norma c.d. “imperfetta”, che non prevede una sanzione per l’eventuale violazione e rimette quindi al giudice il compito di stabilire a quali conseguenze giuridiche possa andare incontro il datore di lavoro inadempiente.

Anche in Italia, la legge 22 maggio 2017 n. 81 ha previsto un diritto alla disconnessione limitatamente al caso di “lavoro agile”, definito dall’art. 18 della legge come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. In tal caso, l’accordo individuale di lavoro deve individuare “i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.

La norma italiana ha certamente il limite di essere rivolta soltanto ad un ambito lavorativo (quello del lavoro “agile”) piuttosto circoscritto.

Essa, inoltre, rimettendo all’accordo individuale la definizione di modi e tempi della disconnessione, rischia di prestare il fianco a dei possibili  abusi della libertà contrattuale rimessa alle singole parti, nei casi in cui la maggior forza contrattuale di una parte (il datore di lavoro) potrebbe imporre condizioni che frustrano la ratio della norma. La previsione di una regolamentazione minima sarebbe stata, forse, più prudente ed efficace.

Prima ancora dell’entrata in vigore di tale norma, peraltro, il Decreto del Direttore Generale dell’Università degli Studi dell’Insubria del 7 aprile 2017, n. 289  (http://www4.uninsubria.it/on-line/home/articolo13821.html)  aveva già introdotto e regolamentato il diritto alla disconnessione per il personale tecnico amministrativo dell’ateneo, prevedendo il diritto alla non reperibilità al di fuori dell’orario di lavoro: il dipendente che riceva mail, telefonate e altro ha il diritto di non rispondere e di concentrarsi sulla vita personale e non soltanto professionale.  Trimestralmente, inoltre, è previsto il “Giorno dell’indipendenza dalle e-mail”, in cui si favoriscono le riunioni brevi al posto di messaggi di posta elettronica.

Esempi concreti, peraltro, vengono anche da altri paesi come la Germania, dove Volkswagen nel 2011 ha deciso di sospendere ogni comunicazione sugli smartphones dei dipendenti tra le ore 18:00 e le ore 7:00 (anche BMW, Deutsche Telekom  e altre grandi aziende hanno succesivamente introdotto delle norme per limitare la possibilità per il personale di essere “sempre connesso”) o il Regno Unito dove Price Minister ha previsto una mezza giornata al mese senza comunicazioni scritte per favorire gli scambi verbali tra i dipendenti.

In buona sostanza, le aziende stanno superando la falsa convinzione che la connessione no-stop sia indice di produttività: in realtà, si è constatato che il cervello deve poter staccare la spina per rigenerarsi e che i lavoratori che rispettano l’equilibrio tra lavoro e vita privata sono molto più produttivi degli altri.

In generale, la disconnessione dovrebbe essere intesa non come un modo per isolarsi dal resto del mondo ma come un modo indispensabile per riscoprire la cura delle relazioni umane, che richiedono l’interazione fisica tra le persone.