9

Mar 2017

Negli ultimi tempi, di fronte ad episodi di cronaca che raccontano di furti e violenze su minori o anziani, ci si chiede sempre più spesso se sia lecito controllare attraverso delle telecamere quanto accade, in nostra assenza, mentre in casa ci sono una colf, una badante o una baby-sitter.

Abbiamo già esaminato in un precedente articolo quali sono i rigorosi limiti stabiliti dallo Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) in ordine alla possibilità di controllo a distanza di un lavoratore. [Sull’installazione di impianti di videosorveglianza in ambiente di lavoro.]

Regole particolari, tuttavia, valgono nel caso del lavoro domestico.

Ciò è stato definitivamente chiarito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro che, con nota dell’8 febbraio 2017, prot. 1004, ha concluso che è possibile autorizzare l’installazione di un impianto di videosorveglianza collocato in un’abitazione privata all’interno della quale è presente un lavoratore domestico.

L’Ispettorato ha ricordato, innanzitutto, le peculiarità del lavoro domestico inteso come “l’attività lavorativa prestata esclusivamente per le necessità della vita familiare del datore di lavoro (art. 1, legge 339/1958), che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico diretti al funzionamento della vita familiare”.

Il collaboratore domestico non lavora nell’ambito di un’impresa organizzata (all’interno della quale operano, generalmente, una pluralità di persone, con possibilità di ricambio o di sostituzione di soggetti) ma svolge la sua attività lavorativa “nella casa abitata esclusivamente dal datore di lavoro e dalla sua famiglia”, in “un nucleo ristretto ed omogeneo, di natura per lo più familiare e risponde alle esigenze tipiche e comuni di ogni famiglia”.

Proprio in considerazione di queste sue peculiarità, il rapporto di lavoro domestico gode di una regolamentazione specifica, anche derogatoria di quella generale (si pensi, ad esempio, alla possibilità di licenziamento anche senza bisogno di una giusta causa o di un giustificato motivo), che tiene conto delle speciali caratteristiche della prestazione lavorativa resa dal lavoratore, dell’ambiente lavorativo e della particolare natura del datore di lavoro e della fiducia che deve necessariamente esistere tra le parti di quel rapporto.

Ne consegue che il rapporto di lavoro domestico è sottratto alla tutela dello Statuto dei lavoratori proprio in ragione del fatto che, in questo caso, il datore di lavoro è un soggetto privato non organizzato in forma di impresa.

Non trovano, dunque, applicazione i limiti e i divieti previsti dall’art. 4 dello Statuto e non opera il divieto di controlli a distanza se non discussi e concordati con le rappresentanze sindacali dei lavoratori  o non autorizzati dalla sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

L’Ispettorato, peraltro, formula un’importante precisazione: il rapporto di lavoro domestico non si sottrae completamente all’applicazione dello Statuto dei Lavoratori ma soltanto a quelle norme che rispondono ad “una dimensione “produttivistica” dell’attività di impresa”.

Diverso è il caso di una norma come l’art. 8 dello Statuto, che vietando indagini su profili del lavoratore non attinenti alle sue attitudini professionali, è posta a tutela di ogni tipo di lavoratore e quindi anche il collaboratore domestico. L’esclusione del lavoro domestico all’applicabilità dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, tuttavia, non sottrae questa materia dal rispetto della disciplina sul trattamento dei dati personali, in quanto  la tutela del diritto del lavoratore alla riservatezza è comunque  garantita dal D.Lgs. n. 196/2003 (c.d. Testo Unico sulla privacy), che impone un obbligo informativo nei confronti dell’interessato (il lavoratore) e la necessità del suo consenso preventivo.

Nell’ambito domestico, dunque, il datore di lavoro dovrà comunque informare il lavoratore della volontà di procedere alla videosorveglianza e ne dovrà acquisire il preventivo consenso.