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Giu 2025

L’ultima volta ne avevamo parlato oramai sei anni fa, tra accelerazioni e frenate lo sviluppo tecnico della guida autonoma è andato avanti.

Negli ultimi mesi, Tesla ha avviato test di guida autonoma a Parigi e Roma, facendo girare le sue auto con un sistema di guida autonoma di livello 3, “sovrinteso” da una persona fisica al posto di guida, pronta ad intervenire in caso di necessità.

Necessità che non si è presentata, almeno nei video diffusi al pubblico e disponibili in rete, in cui si vedono le auto districarsi tra altri utenti della strada (auto, mezzi pubblici, cicli, motocicli, pedoni) in maniera impeccabile.

Ciò che rende peculiare l’approccio di Tesla, rispetto ad altri costruttori, è l’assenza di sistemi LIDAR o di sensori ad alta precisione: l’auto elabora la guida autonoma a partire da un gigantesco data set visivo costruito grazie alle telecamere installate su ogni veicolo Tesla in circolazione nel mondo. Un approccio statistico–esperienziale, basato sull’addestramento per immagini, piuttosto che su una rappresentazione tridimensionale dello spazio. Che fa dell’auto, come del telefonino, uno strumento formidabile di raccolta di informazioni. 

Anche questa architettura, come le altre, pone con forza una questione giuridica cruciale: a chi imputare la responsabilità penale in caso di sinistro causato da un veicolo in modalità autonoma?

Se la responsabilità civile può trovare soluzione nel sistema assicurativo, la responsabilità penale resta sospesa in un’area grigia. Attualmente, il nostro ordinamento non prevede un soggetto “non umano” imputabile ai sensi dell’art. 27 della Costituzione italiana, né consente – se non con forzature – di attribuire la colpa al conducente passivo (cioè presente ma non agente).

Le soluzioni finora ipotizzate oscillano tra l’imputazione al produttore del sistema di guida autonoma o del veicolo (con forzature analogiche sul modello del d.lgs. 231/2001) e una sorta di responsabilità oggettiva del “proprietario” del veicolo, figura che entra in crisi quando l’auto è utilizzata a noleggio, in car sharing, etc…, fermo restando che tale soluzione confliggerebbe col principio di colpevolezza.

Ma una via alternativa, radicale e rischiosa, potrebbe essere presa in considerazione: prevedere una forma di esenzione da responsabilità penale per i sinistri derivanti da tecnologie che abbiano dimostrato un tasso di affidabilità superiore a quello medio umano. Si tratterebbe di costruire un sistema presuntivo, fondato su benchmark statistici: ad esempio, nessuna responsabilità penale nei confronti di produttori o utilizzatori di sistemi di guida autonoma che abbiano un tasso di errore inferiore del (per esempio) 80% rispetto alla guida umana (da parametrarsi su sinistrosità per chilometro o incidente con lesioni per milione di chilometri percorsi).

Una tale “presunzione di affidabilità algoritmica” sarebbe ispirata a logiche simili alla “business judgment rule” in ambito societario o al principio per cui il medico che rispetta le linee guida accreditate non è punibile (art. 590-sexies del codice penale italiano): il punto comune sarebbe che l’errore residuale, quando ragionevolmente inevitabile e statisticamente accettabile, non comporta sanzione penale.

Si riconoscerebbe, in sostanza, che la perfezione non è richiesta ove il sistema tecnologico superi l’essere umano in efficienza e sicurezza.

Ovviamente, resterebbero fuori da tale presunzione i casi di negligenza nella manutenzione, difetti noti ignorati o manomissioni dolose del sistema. Andrebbe poi gestito il delicato tema dei bias (razziali, culturali, etc…).

Ma il cuore della proposta è chiaro: se una tecnologia dimostra sul campo una superiore capacità preventiva rispetto all’uomo, essa non dovrebbe generare automaticamente responsabilità penale nei rari casi di fallimento.

Detto in altri termini: non ogni fallimento deve equivalere a responsabilità, soprattutto quando la tecnologia sbaglia meno dell’uomo.

I benefici sarebbero molteplici e la chiarezza normativa potrebbe innescare un circolo virtuoso: l’esenzione penale incentiverebbe l’acquisto di mezzi dotati di guida autonoma, la guida autonoma ridurrebbe gli incidenti, la riduzione degli incidenti farebbe scendere i costi assicurativi.

Il diritto penale, che tradizionalmente guarda alla condotta individuale, è pronto ad affrontare la sfida dell’algoritmo? O continuerà a forzare le vecchie categorie mentre il mondo guida da solo?