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Mag 2021

Anche la Spagna prende posizione sull’eutanasia: il 18 marzo scorso il Parlamento ha infatti approvato una disciplina organica sul fine vita, che entrerà in vigore il prossimo giugno.

L’Olanda, primo paese al mondo, lo aveva fatto vent’anni fa, nell’aprile 2001.

A seguire, Belgio (2002), Lussemburgo (2009) e Canada (2016). In Colombia l’eutanasia è ammessa di fatto dopo una sentenza della Corte Suprema del 1997.

Svariati paesi nel mondo regolamentano il suicidio medicalmente assistito (ed es. Svizzera e alcuni stati USA) pur non consentendo l’eutanasia.

La tematica è senza dubbio tra le più laceranti per la coscienza umana; vi si contrappongono, da un lato, la tutela della vita e, dall’altro, quella della dignità umana e dell’autodeterminazione.

Ma cosa si intende per dolce morte?

E che differenza c’è tra eutanasia, suicidio assistito e interruzione volontaria delle cure?

L’eutanasia implica l’intervento di un soggetto terzo che procura la morte di una persona affetta da condizione patologica irreversibile (ad esempio il medico che somministra il farmaco letale).

Il suicidio assistito si differenzia dall’eutanasia perché è l’interessato a compiere l’ultimo atto (come nel caso del paziente che assume da sé il farmaco letale prescritto dal medico).

Diverso ancora è il caso dell’interruzione volontaria delle cure (c.d. eutanasia omissiva), in cui il paziente richiede che un determinato trattamento sanitario sia sospeso o non attivato.

E in Italia? A che punto è il dibattito sul fine vita?

Eutanasia e suicidio assistito sono reati, rilevando rispettivamente ai sensi degli artt. 579 (omicidio del consenziente) e 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio).

Diverso invece il caso dell’interruzione volontaria delle cure, consentita (e valorizzata) da quando la L. 219/2017 ha introdotto nell’ordinamento la possibilità di rifiutare o interrompere consapevolmente, anche attraverso il testamento biologico (le DAT), qualsiasi trattamento sanitario, anche salvavita (art. 1, co. 5 e art. 2, co. 1, l. 219/2017).

L’aveva detto chiaramente la Corte costituzionale, con l’ordinanza-monito n. 207/2018 sul caso Cappato-Dj Fabo: occorre un intervento del legislatore, magari “nel contesto della legge n. 219 del 2017 e del suo spirito”, anziché mediante “una mera modifica della disposizione penale di cui all’art. 580 cod. pen.”.

La Consulta aveva dato al Parlamento un anno di tempo per adeguarsi. Ma il legislatore non ha colto l’occasione.

Così, nel 2019 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio alle medesime condizioni previste dalla L. 219/2017 (Corte cost., sent. n. 242/2019).

Riducendo così l’area di sanzionabilità penale della fattispecie incriminatrice, ha aperto -di fatto- al suicidio medicalmente assistito.

Sulla scorta di tale decisione, Marco Cappato ha potuto essere assolto per la morte di Dj Fabo e Davide Trentini.

Ma se ne è dovuta fare carico la Corte costituzionale, perché il legislatore non si è assunto la responsabilità di prendere posizione. E aprire spazi.