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Apr 2021

Il 19 maggio 2021 dovrebbe finalmente debuttare la nuova class action italiana.

Nell’attesa, un assaggio di cosa potrebbe accadere ce lo offre il caso Tomasella Vs. Nestlé Usa, Inc., deciso nel Massachusetts.

L’azione è stata promossa perché nelle confezioni di alcune barrette di cioccolato le aziende Nestlé, Hershey e Mars nulla dicono sul fatto di utilizzare cacao proveniente dalla Costa d’Avorio, dove la raccolta avviene sfruttando il lavoro, anche minorile (più di un milione e duecentomila bambini lavorano in condizioni pericolose, più di metà subiscono infortuni dovuti anche al fatto di lavorare col machete e con i pesticidi, spesso sono vittime di veri e propri sequestri e ricatti economici, molti non sono nemmeno retribuiti).

In altri atti ufficiali, invece, quali i propri Codici Etici o le policy per i fornitori pubblicati nei rispettivi siti web, le aziende condannano tali pratiche o riconoscono l’esistenza del problema, promettendo azioni per porvi rimedio.

Secondo gli attori, tale disallineamento informativo è voluto e strumentale: le aziende “tacciono” sulle confezioni delle barrette, che sono quelle che ciascun cliente prende in mano al momento dell’acquisto e dalle quali potrebbe facilmente evincere informazioni che potrebbero condizionare le sue scelte di acquisto; “parlano”, invece, in altre sedi, più istituzionali e meno accessibili, verosimilmente non consultate dal consumatore al momento dell’acquisto e, quindi, meno in grado di influenzarne le scelte. L’insieme dei messaggi contraddittori serve a creare una sorta di rumore di fondo informativo dal quale il consumatore fatica ad individuare i messaggi corretti o rilevanti, risultandone così -alla fine- ingannato.

Inoltre, il consumatore finisce inconsapevolmente per finanziare lo sfruttamento del lavoro minorile, cosa che non avrebbe verosimilmente fatto se fosse stato informato correttamente.

Potrebbe una simile azione vedere la luce in Italia?

Ora sì.

Deve trattarsi di “diritti individuali omogenei”, da far valere nei confronti di imprese o enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle rispettive attività.

Il ricorso va presentato alla sezione specializzata in materia di imprese del luogo ove ha sede la parte resistente e sarà pubblicato sul portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della giustizia per la conoscibilità da parte di tutti i potenziali interessati.

Superato il vaglio di ammissibilità (manifesta infondatezza, non omogeneità dei diritti tutelabili, conflitto di interessi ricorrente / resistente, inidoneità del ricorrente a curare adeguatamente i diritti individuali omogenei fatti valere), chi vorrà aderire alla class action (meccanismo del “opt-in”) avrà da sessanta a centocinquanta giorni di tempo per farlo, adesione che non comporta l’assunzione della veste di parte ma conferisce una serie di diritti informativi nel corso del processo e sostanziali all’esito dello stesso. L’adesione potrà avvenire anche dopo la pronuncia della sentenza di accoglimento.

Molto particolari, e di favore, le norme sulla formazione della prova.

Il tribunale -omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio- svolgerà l’istruttoria nel modo che riterrà più opportuno, avvalendosi anche di dati statistici e presunzioni semplici; potrà ordinare al resistente l’esibizione delle prove rilevanti che rientrano nella sua disponibilità. Se disporrà una consulenza tecnica, l’anticipazione di spese e compensi graverà sul resistente.

Con la sentenza di accoglimento del ricorso, il tribunale definirà i caratteri dei diritti individuali omogenei lesi, in modo da consentire l’adesione da parte di tutti i soggetti titolari di tali diritti.

Se interessa, invece, ottenere una astreinte di atti e comportamenti, posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti, potrà essere promossa un’azione inibitoria collettiva, con regole istruttorie sostanzialmente equivalenti.

Funzionerà, questa volta?

Sulla carta lo strumento è molto potente: la base dei soggetti legittimati ad agire è più ampia, la formazione della prova è agevolata, il rito è semplificato; sono previsti compensi percentuali a favore del rappresentante comune degli aderenti (nominato dal tribunale tra i soggetti aventi i requisiti per la nomina a curatore fallimentare) e per i legali.

Aumentano, correlativamente, i rischi per le imprese, che ne dovranno tener conto nei loro bilanci ed eventualmente nelle polizze assicurative; la stessa pubblicazione dell’azione sul portale potrebbe avere riflessi reputazionali negativi per l’impresa e condizionarne andamento di borsa, trattative in corso o contratti in essere.

Un nuovo spazio si aprirà per i negoziatori, potendosi l’azione di classe chiudere con accordi di natura transattiva.

Al tribunale, come sempre, il compito di evitare gli abusi e rendere effettiva -anche in termini di tempistiche e risarcimenti- la tutela.

Quanto a mr. Danell Tomasella, la sua class action è stata respinta.