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Mag 2020

Parte #2

La Rule 23 (b) del Federal Rules of Civil Procedure (assimilabile al nostro Codice di Procedura Civile) prevede tre diversi tipi di class action. Nel presente lavoro, ci si sofferma solo sul terzo tipo di class action, ovvero quella a cui si fa usualmente ricorso al fine di ottenere un risarcimento economico. Tale class action è dichiarata ammissibile quando la corte ritiene che le questioni giuridiche o fattuali comuni ai membri della classe sono predominanti rispetto ad altre questioni che riguardano solo alcuni membri individuali (c.d. predominance), e che la class action è lo strumento processuale migliore, rispetto agli altri metodi disponibili, per decidere giustamente ed efficientemente la vertenza (c.d. superiority). La Rule 23 (a) del Federal Rules of Civil Procedure stabilisce che uno o più membri di una classe possono citare od essere citati in giudizio come parti rappresentanti di tutti i membri solo se ricorrono tutti i seguenti pre-requisiti:

  • la classe è talmente numerosa da rendere impraticabile il litisconsorzio di tutti i membri (c.d. numerosity);
  • ci sono questioni giuridiche o fattuali comuni alla classe (c.d. commonality);
  • le rivendicazioni o le difese delle parti rappresentanti sono tipiche delle rivendicazioni o delle difese della classe (c.d. typicality), e
  • le parti rappresentanti perseguiranno equamente ed adeguatamente gli interessi della classe (c.d. adequacy of representation).

Dunque, la class action non è uno strumento processuale speciale, finalizzato a dirimere unicamente le controversie tra consumatori e professioni, ma è un istituto processuale generale dell’ordinamento statunitense. Inoltre, la classepuò ricomprendere sia gli attori che i convenuti.

La prima fase giudiziale della class action è volta ad ottenere il c.d. certification order, ovvero una pronuncia (order) con la quale il giudice decide se l’azione può essere qualificata come class action. Un order che concede o nega la class certification può essere emendato fino a quando non sopraggiunge la sentenza che decide la vertenza. Qualora la corte decida di non concedere la class certification, la classe si scioglie ed ogni persona che ne faceva parte ha diritto di esperire l’azione individualmente. Tuttavia, dato che, molto spesso, le rivendicazioni individuali fatte valere tramite una class action del terzo tipo sono di valore economico modesto, la mancata concessione della class certification determina –di fatto- l’impossibilità di accedere alla tutela giurisdizionale, dato che le spese della lite supererebbero di gran lunga l’ammontare del risarcimento ottenibile. In ogni caso, il certification order è appellabile.

Quando una class action del terzo tipo viene certificata, la corte deve inviare ai membri della classe una notifica (notice of motion), indicando chiaramente e concisamente, in linguaggio semplice e facilmente comprensibile, qual è la natura dell’azione e quali sono le rivendicazioni o le difese della classe. Inoltre, la notice deve specificare che i membri della classe hanno facoltà di comparire in giudizio per mezzo di un legale, che ogni membro può chiedere –entro un certo termine ed in un certo modo- l’esclusione (opt-out) dalla classe e che la sentenza che definirà la class action sarà vincolante per tutti i membri della classe.

Il diritto di richiede l’esclusione dalla classe è previsto solo per le class actions “risarcitorie”, ovvero quelle del terzo tipo. Quando un membro della classe effettua l’out-put, separa le proprie vicende giudiziarie da quelle della classe, riacquistando il diritto di agire in giudizio singolarmente.

Eseguita la notice, si apre la fase di cognizione, nella quale vengono esaminate nel merito le rivendicazioni o le difese della classe.

La vertenza può essere definita mediante sentenza (class judgment), oppure -come spesso accade- con una transazione (settlement agreement). I settlement agreements sono soggetti all’approvazione della corte. Dunque, quando i rappresentanti della classe e la controparte comunicano di aver raggiunto un accordo transattivo, la corte deve fissare un’udienza (hearing) al fine di valutare se il settlement agreement è giusto, ragionevole ed adeguato (fair, reasonable and adequate) e, contestualmente, deve notificare ai membri della classe la proposta di settlement agreement che verrà valutata. In questa fase, ogni membro della classe ha facoltà di esercitareil diritto di opt-out, non aderendo così al settlement agreement, oppure può opporsi alla proposta di settlement agreement. Tale opposizione verrà valutata dalla corte, e può essere ritirata solo con il consenso della stessa.In caso di approvazione, il settlement è vincolante per tutti i membri della classe che non abbiano esercitato il diritto di out-put.

In Italia, ad oggi, l’unica azione esperibile da una classe a tutela di “diritti individuali omogenei” è disciplinata dall’art. 140 bis del c.d. Codice del consumo, ai sensi del quale ciascun consumatore od utente “può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni”. Tramite tale strumento processuale, vengono tutelati “i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea”, “i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale”, ed “i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali”.

Dunque, l’azione di classe non costituisce uno strumento processuale generale dell’ordinamento italiano. Infatti, la classe può essere formata solo da attori (e non, anche, da convenuti), i quali devono necessariamente essere consumatori o utenti che rivendicano la tutela di diritti omogenei tassativamente indicati dalla legge.

La domanda va proposta al tribunale ordinario competente, con atto di citazione notificato anche all’ufficio del Pubblico Ministero. All’esito della prima udienza, il tribunale decide, con ordinanza, in merito all’ammissibilità della domanda. La domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi, quando il giudice non ravvisa l’omogeneità dei diritti individuali tutelabili o quando il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe. Tale ordinanza è reclamabile davanti alla corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni dalla sua comunicazione. La corte d’appello decide sul reclamo con ordinanza in camera di consiglio, non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso.

Se il tribunale ammette l’azione di classe, la relativa ordinanza definisce i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, specifica i criteri in base ai quali i soggetti possono aderire alla classe e fissa le modalità della più opportuna pubblicità; stabilisce altresì un termine perentorio entro il quale deve avvenire la “tempestiva adesione” di coloro che intendono partecipare all’azione. Tale termine non può essere superiore a centoventi giorni dalla scadenza di quello per esecuzione della pubblicità. L’atto di adesione –per il quale non è necessario il ministero di un difensore- contiene l’elezione di domicilio, l’indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere e la relativa documentazione probatoria. Con tale adesione, il consumatore o l’utente rinuncia ad ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo.

Dunque, l’adesione all’azione di classe è basata sul principio dell’opt-in, in forza del quale l’interessato -al fine di essere annoverato tra i membri della classe- deve aderire alla procedura entro un certo termine perentorio stabilito dal giudice. Il principio dell’opt-in vale anche per le transazioni e le rinunce, posto che le stesse hanno effetto solo nei confronti dei membri della classe che chi vi hanno espressamente consentito.

Qualora l’interessato non partecipi all’azione di classe, conserva il diritto di esperire l’azione individualmente. In ogni caso, decorso il termine per l’adesione assegnato dal giudice, non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa.

Una volta scaduto il termine per aderire all’azione di classe, si apre la fase di cognizione. Se il tribunale accoglie la domanda, emette sentenza con cui liquida le somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione, o stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione di dette somme. La sentenza diviene esecutiva decorsi centottanta giorni dalla pubblicazione.

Sebbene l’azione di classe italiana ricalchi la struttura della class action “risarcitoria”statunitense, (domanda, verifica dell’ammissibilità dell’azione, cognizione e definizione tramite sentenza o transazione), l’adesione alla classe è regolata da principi opposti. Infatti, nella class action “risarcitoria” statunitense, l’effetto del giudicato o della transazione viene esteso a tutti i soggetti che hanno subito la medesima lesione  e che non hanno esercitato l’opt-out, indipendentemente da una loro espressa adesione all’azione. Al contrario, nell’azione di classe italiana, il consumatore o l’utente leso in uno dei diritti tassativamente indicati dalla norma deve esercitare -entro un termine perentorio- l’opt-in tanto per essere ammesso nella classe, quanto per aderire ad un accordo transattivo. Inoltre, in caso di mancata adesione entro il termine, il consumatore italiano non potrà esperire una nuova azione di classe, ma potrà ricorrere solo individualmente. Di fatto, posto che esperire un’azione individuale al fine di ottenere il risarcimento di una microlesione è fortemente antieconomico, il consumatore italiano che non ha effettuato l’opt-in nei termini perentori fissati dal giudice non potrà accedere alla tutela giurisdizionale, a tutto vantaggio dell’impresa convenuta.

All’atto pratico, l’azione di classe si è rivelata un fallimento totale: troppo alto il rischio di non superare il vaglio di ammissibilità, troppo lunghi i processi, troppo esigui i risarcimenti e, quindi, troppo alti i costi.

Da ricordare un caso paradigmatico: una casa farmaceutica, durante l’emergenza legata alla c.d. influenza suina, aveva commercializzato un kit autodiagnostico asseritamente capace di diagnosticare efficacemente tale malattia, rivelatosi invece inidoneo a tal scopo. Conseguentemente, veniva esperita un’azione di classe per ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa delle pratiche commerciali scorrette ed ingannevoli messe in atto dalla casa farmaceutica. Al termine di un procedimento giudiziario durato quasi dieci anni, la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’appello di Milano, che condannava la società convenuta a pagare la somma di € 14,50 (Euro quattordici ̸ 50) in favore di una signora, unica consumatrice aderente alla classe.

A fronte della conclamata inadeguatezza dell’azione di classe, il Legislatore italiano, con la Legge n. 31 del 2019, ha introdotto una nuova disciplina dei procedimenti collettivi, che dovrebbe entrare in vigore a partire dal 19 novembre 2020, con la contestuale abrogazione dell’art. 140-bis del Codice del consumo.

Funzionerà?

Lo vedremo molto presto, perché il massiccio uso delle nuove tecnologie da parte di una fascia sempre più ampia della popolazione (basti pensare all’incremento esponenziale causato dal Coronavirus) è un terreno molto fertile per il verificarsi di tutta una serie di micro danni legati a prodotti difettosi, a servizi deficitari o a pratiche commerciali scorrette che -ad oggi- non stanno trovando uno sbocco risarcitorio solo per l’inadeguatezza dei mezzi processuali a disposizione.

Davide Sammito