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Giu 2018

Il diritto all’ oblio torna alla ribalta grazie ad un recente intervento della Corte di Cassazione (Sez.-I-civile-Ordinanza-6-dicembre-2017-–-20-marzo-2018-n.-6919) riguardante un personaggio dello spettacolo.

Questi si doleva del fatto che una trasmissione televisiva satirica avesse utilizzato un filmato relativo a un episodio risalente a cinque anni prima per denigrarne l’immagine, inserendolo al secondo posto della classifica dei personaggi “più antipatici e scorbutici del mondo dello spettacolo”.

Invocava, di conseguenza e tra l’altro, il diritto all’oblio, cioè il diritto a che quell’episodio venisse “dimenticato” cioè non più utilizzato e diffuso.

Le corti territoriali gli avevano respinto la domanda, ritenendo addirittura insussistente il diritto all’oblio.
La Corte di cassazione, invece, glielo riconosce.

L’ordinanza è interessante, in primo luogo, perché fa un excursus storico dell’evoluzione dell’istituto ricostruendo il “reticolo di norme nazionali (art. 2 Cost., art. 10 c.c., L. n. 633 del 1941, art. 97) ed Europee (artt. 8 e 10, comma 2 CEDU, artt. 7 e 8 della Carta di Nizza)” che lo disciplinano.
In secondo luogo, troviamo una prima risposta al quesito che avevamo sollevato dopo il caso Fuchsmann contro Germania. Viste le numerose sfaccettature che il diritto all’oblio può presentare a seconda del contesto nel quale viene invocato (media tradizionali, social network, motori di ricerca) e a seconda dei soggetti interessati (cittadini comuni, personaggi pubblici, persone politicamente esposte, etc.) appariva pregiudiziale -in una prospettiva di regolamentazione positiva dell’istituto- individuare con chiarezza il bene giuridico che tale diritto avrebbe dovuto tutelare, cioè il diritto del titolare ad essere dimenticato, in sé e per sé, o la reputazione dello stesso.

L’ordinanza in commento sembra propendere decisamente per questa seconda ipotesi, sulla scia -del resto- proprio del caso Fuchsmann contro Germania: “Nel caso concreto, invero, i commenti dell’inviato – posti in correlazione con l’inserimento, non autorizzato, del V. nell’impropria classifica suindicata- sono, per contro, surrettiziamente diretti a far apparire il cantante, in assenza di ulteriori e comprovati elementi obiettivi di riscontro, come una persona costantemente scortese ed antipatica e, per di più, ormai sul viale del tramonto, posto che le “luci della ribalta”, ormai da tempo, “non lo illuminano più”. Il pregiudizio all’identità personale dell’artista, scaturente da siffatta palese violazione del diritto all’oblio, risulta del tutto evidente”.

Per la Cassazione, dunque, sembrerebbe non esistere un autonomo diritto all’oblio, a prescindere dalle ragioni per cui il soggetto decide di avvalersene, ma esisterebbe un diritto a che non vengano riportati fatti o episodi che, per la loro risalenza temporale o per la loro natura o per il modo o il contesto in cui vengono rappresentati, ledano l’”identità personale” del titolare, denigrandolo.

Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo, in quanto la Corte -nel tentativo di delineare i confini dell’istituto- si spinge molto avanti, finendo per creare (ma il nostro non era un sistema di civil law?) una figura giuridica un po’ diversa da quella che appare a prima vista.

Nel nucleo della motivazione, infatti, si legge che “il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine; 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera (poichè attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico.
In assenza di tali presupposti, la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare, pertanto, la violazione del fondamentale diritto all’oblio, come configurato dalle disposizioni normative e dai principi giurisprudenziali suesposti”.

Non si parla di reputazione né di identità personale né di denigrazione. Anzi, la Corte dichiara che una compressione del diritto all’oblio possa ammettersi solo a favore del diritto di cronaca.

Se così fosse, esisterebbe effettivamente un nuovo e autonomo diritto all’oblio, esercitabile sempre e comunque, che soffrirebbe un limite solo in presenza degli stringentissimi presupposti sopra indicati ed esclusivamente a favore del diritto di cronaca: non sembra cosa di poco conto.

Forse il riferimento al solo diritto di cronaca è dovuto alla circostanza che si tratta di una pronuncia che si riferisce pur sempre ad un caso concreto, che nello specifico riguardava una trasmissione televisiva tradizionale, il che riporta ancora una volta la questione al punto in cui l’avevamo a suo tempo lasciata: come ci si regola in tutti gli altri casi e ambiti?

Finché il legislatore non si deciderà ad intervenire, non ci resterà che esaminare le sentenze sui singoli casi, che andranno via via a costruire l’istituto.

Nel frattempo, non si potrà dire –con le parole di Totò- che esista un generale diritto all’oblio “a prescindere”.