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Dic 2020

Fisica e diritto sembrano essere due ambiti molto lontani tra loro. Rigorosamente scientifica e concreta, la prima. Esclusivamente convenzionale e astratto, il secondo.

Ma è veramente così?

La ricerca fisica di base, che si propone di capire i meccanismi ultimi di funzionamento del mondo, indica invece interessanti convergenze, come emerge dall’ultima fatica di Carlo Rovelli, Helgoland per l’appunto, edita da Adelphi.

Accettato il concetto che per scienza si intende non la certa e definitiva comprensione di un fenomeno ma la sua conoscenza secondo l’attuale stato dell’arte, destinato per sua natura ad evolvere a mano a mano che evolvono gli strumenti di indagine intellettuali e tecnologici, Rovelli tenta di spiegare ai comuni mortali dove si è arrivati nella comprensione del funzionamento dei meccanismi di base del mondo.

La teoria più accreditata è quella quantistica che, per quanto “strana”, gode di tutta una serie di conferme sperimentali che costringono a considerarla al momento il miglior modello disponibile.

Saltando a piè pari tutte le questioni relative al suo coordinamento con la teoria della relatività, alle sue lacune e alle sue contraddizioni, un aspetto non può non colpire il giurista: semplificando, la struttura della realtà non è fisica ma relazionale. Il mondo non è fatto di ”cose” ma di “eventi che tessono una rete di interazioni”, è fatto cioè di relazioni.

Gli ‘enti’ non sono che effimeri nodi di questa rete. Le loro proprietà non sono determinate che nel momento di queste interazioni e lo sono solo in relazione ad altro: ogni cosa è solo ciò che si rispecchia in altre“.

Ogni visione è parziale. Non esiste un modo di vedere la realtà che non dipenda da una prospettiva. Non c’è un punto di vista assoluto, universale

Se la realtà stessa è intrinsecamente relazionale e se il diritto è quell’insieme di norme, categorie e istituti deputati alla disciplina delle relazioni umane, molti sono i corollari giuridici che si possono trarre dalla teoria quantistica.

Creare diritto, come legislatore ma anche e soprattutto come interprete, come avvocato e come giudice, ogni giorno, nella vita concreta, nei tribunali, nei contratti, significa lavorare la pasta di cui è fatto il mondo e di cui siamo fatti tutti noi. Per questo non deve mai ridursi ad un mero lavoro burocratico, ad una pratica da evadere.

Se la realtà dipende dal punto di vista da cui la si guarda, non c’è legge, arresto giurisprudenziale o punto fermo interpretativo che non sia suscettibile di essere riconsiderato, rivisto o modificato proprio cambiando prospettiva.

E proprio perché non c’è un punto di vista assoluto e universale, ogni punto di vista ha le sue ragioni e la discussione, il dibattito, il confronto vanno accettati perché sono inevitabili.

Ogni persona non è che l’insieme delle relazioni che si porta dentro e non sarà altro che l’insieme delle relazioni che coltiverà. Chi è in grado di decifrare questo codice sorgente avrà in mano gli strumenti per gestire fuori delle aule di giustizia molti dei conflitti che oggi le intasano.

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Un’obiezione, tuttavia, si potrebbe fare a Rovelli: e se questa non fosse veramente la struttura più intima del mondo ma, come lui stesso la definisce, “l’allucinazione meglio in armonia con il mondo”, dovuta ai limiti intrinseci della nostra struttura mentale, incapace di ragionare in maniera diversa?

Contro-obiezione: e se così fosse, per ciascuno di noi, che solo di questa struttura mentale disponiamo, cosa cambierebbe?